giovedì 17 dicembre 2009

“Cosa si sogna in un marciapiede?”


Come già avevo accennato nel precedente pezzo, Granada è una città che ti colpisce, come lo schiaffo di un genitore che cerca di insegnarti la strada giusta. Con gli occhi ben aperti e la voglia di cogliere ogni sfumatura di queste strade, così giovani e creative, ad ogni angolo riparato mi sono chiesto: “Perché c'è così tanta gente dormendo per strada?”.

Con questa domanda che continuamente risuona nella mia testa, mi sono avvicinato a SOLIDARIOS, un'associazione umanitaria senza fini di lucro. Attraverso questa associazione, che ha molti altri progetti, abbiamo iniziato (io e Ainhoa) con altri ragazzi a camminare per la strada in maniera diversa. Il progetto cerca di motivare queste persone ad uscire dalla loro condizione. Il nostro compito è informarli dei vari centri di accoglienza presenti nel territorio e fare loro un po' di compagnia, oltre ad offrirgli bevande calde e qualcosa da mangiare.

Guardando negli occhi di queste persone ho visto rassegnazione. Sono l'ultima ruota di quel carro che è la nostra società, non sono neanche quella di scorta. Non gli viene data la possibilità.

Con l'associazione siamo andati in strada per rivendicare i diritti inalienabili di queste persone. L'idea era quella di passare la notte con loro, e far sentire la loro voce.. ora vi racconto come è andata.

Eravamo tutti seduti per terra, come quando da bambini, a scuola, ci facevano mettere in cerchio e dovevamo presentarci. Quel giorno erano loro, anche se pochi, gli oratori, un po' emozionati.

Javi, è un uomo di 41 anni, quasi calvo e sdentato, da tre anni vive nella strada. Con un cartone di vino in mano e lo sguardo malinconico disse: “Sono qui insieme al mio cartone, perché rende i miei giorni meno eterni e gli anni meno corti”. Dopo questa introduzione, proseguì come fanno quasi tutti, richiedendo domande di qualsiasi tema, in modo di poter dimostrarti di conoscere, di non essere un ignorante, di sapere, in molti casi, più di te. Javi passa il tempo leggendo nella biblioteca comunale, mangia nelle mense dei poveri e chiede l'elemosina. Ci parlò del suo passato non troppo lontano, dicendo di aver lavorato in vari ristoranti come cuoco, ha viaggiato parecchio: Barcellona, Madrid, Paesi Baschi, Parigi, Roma. Recitò varie ricette di piatti tipici, confermate da un nostro amico cuoco e poi dicsse: “Però, puoi studiare e lavorare quanto vuoi, ma quello che rimane sono le esperienze forti, le emozioni”. Con un gran sorriso e gli occhi illuminati ci raccontò di quella volta che da solo, in un bosco, mentre percorreva il cammino di Santiago e si accampava per la notte, si trovò a tu per tu con un lupo. “Fu una cosa incredibile, entrai nella tenda per prendere la macchina fotografica, ma quando uscii di nuovo era scappato”.

Le persone che vivono in questa condizione difficilmente raccontano come ci sono finiti, sono riservati, bisogna avere molta confidenza per poter entrare in questi argomenti. Come qualsiasi persona non raccontano a tutti di avere una malattia grave, dei loro problemi coniugali o di lavoro. Però grazie alle informazioni forniteci dall'associazione sappiamo che queste persone hanno perso la propria rete di appoggio sociale e familiare come conseguenza di un processo complesso, pieno di esperienze traumatiche. Sono persone che vivono in media sette o otto situazioni traumatiche di seguito e senza l'appoggio di nessuno. Qualsiasi altra persona vive da tre a quattro di queste esperienze in tutta la sua vita, avendo quindi la possibilità di “metabolizzarli”. I dati dicono inoltre che un 12% delle persone che vivono nella strada hanno studiato all'università. Tutte queste informazioni indicano che qualsiasi persona in condizioni simili può finire per strada.

Cosa possiamo fare per loro?

Innanzitutto comprendere che non sono li perché vogliono starci, guardarli con altri occhi, far si che non si sentano spazzatura, ma persone.


Ora vi dico come è finita la serata organizzata...

Alle 1:30 della notte, le organizzatrici si sono alzate ed hanno invitato tutti a raccogliere i termos di bevande calde e i cartoni sopra i quali eravamo seduti. Senza aver coinvolto i passanti nell'iniziativa, senza nessuna raccolta firme, nessun “rumore” che potesse arrivare a qualche orecchio del comune. Solo una signora è scesa in strada e ha donato delle coperte che non usava più. Le cose fatte così non servono a niente. Non basta avere un'idea, bisogna renderla efficace. E così non sono più andato a questo progetto.

Fare due chiacchiere con queste persone e offrirgli un caffè lo può fare chiunque, un'associazione, forse, dovrebbe cercare di fare di più.


Con questa storia che vi ho raccontato non voglio certo rovinare il vostro buon umore o farvi sentire male o in colpa. La mia intenzione è solo quella di raccontarvi cosa mi è successo, darvi la possibilità di sapere come la penso e magari di riflettere un po' quando incontrate persone sdraiate nella strada. Io a volte ho pensato che fossero degli scansafatiche, ma ho capito che il discorso è molto più articolato. Ricordate comunque che il mio è un discorso generale, ci sono un sacco di variabili nella condizione di chi vive per strada. Però, come ci ha detto una persona che vive in questa condizione: “Prima di partire all'avventura di voler salvare il mondo, aiutate la vostra anziana vicina, e poco a poco ognuno vivrà meglio la sua condizione”.