sabato 8 dicembre 2012

Chi se ne frega...

Chi se ne frega, se la mattina, quando ancora non sei persona,
ti tocca pedalare per arrivare in orario.
Chi se ne frega, se a volte pedali per dei chilometri per arrivare a destinazione
se i piedi ti si congelano al freddo
il naso non lo senti più e, gocciola come una stalattite
le mani, malgrado i guanti "wind-stopper", ti diventano come quelle dei lego
e l'aria fredda, anche se sei coperto come un beduino, ti accarezza anche le ossa..
Chi se ne frega, se quando piove ti devi mettere dei vestiti improponibili per ripararti dall'acqua
e poi quando li togli ti accorgi di essere bagnato lo stesso.
Chi se ne frega, se tutti i jeans che hai sono consumati sotto il cavallo
se mentre pedali, da quello spiraglio, passa un'aria che ti addormenta i gioielli
che poi a volte arrivi a casa e controlli se ci sono ancora.
Chi se ne frega,
se devi soffrire e, il sellino congelato ti ispira le imprecazioni più ricercate
e a volte ti sorprendi di tanta creatività.
Chi se ne frega...
un giorno un sole caldo splenderà, e tutti sfrecceranno con le loro biciclette.
Scontati, come i panettoni dopo le feste natalizie.
Ma chi se ne frega.
A me, non sono mai piaciute le cose scontate.

venerdì 7 dicembre 2012

Natura



Sento la sveglia, lontana...
Il mio corpo sembra più lento e fuori il cielo è grigio, come il cielo che ho dentro.
Un piccione sul balcone, si ripara, emettendo un lamento costante.
Anche lui ce l'ha con il tempo, che gli inzuppa le penne e affatica le zampe.
Rotolo fuori dal letto, con mille idee in testa, come ogni giorno.
Sposto la tenda, ma tutto è morto intorno.
Solo cemento, automobili, asfalto.
Allora ripenso a una bella collina, nei grigi giorni di pioggia.
La nebbia era bassa e la città morta.
Bevendo un tè caldo, appoggiato al davanzale, guardavo il bosco, che la pioggia suonava.
Un'ape rientrava al suo nido, all'angolo della finestra
e il corvo scrutava la valle, dal ramo più alto, proprio sopra la mia testa.
Ora spero che il caffè rincuori il mio organismo
ma basterebbe un solo raggio di sole,
o una finestra aperta all’ottimismo..
e così, mentre sorseggio il caffè caldo,
ripenso a quella bella collina.. nel cupo grigiore di questa mattina.

giovedì 4 ottobre 2012

Visioni


Osservando il ventilatore, con lo sguardo quasi perso nel vuoto, lo stesso che bisogna avere per dare forma agli stereogrammi.. capì molte cose di sè e della sua esistenza.
In fondo si sentiva un pò come lui.
Immaginatevi una stanza, calda, nella quale per cercare refrigerio si aziona un ventilatore. Uno di quelli alti, con un palo di ferro a sostenerlo e un piedistallo, a tre o quattro piedi, ad equilibrarlo.
Non è difficile immaginarselo, ma solo sentendosi l'afa dentro, si può riuscire a capire questa similitudine.
Il torrido caldo estivo appesantisce l'aria, ferma, e i semplici movimenti del conversare ti appiccicano addosso i vestiti.
Il ventilatore si muove, da sinistra a destra, da destra a sinistra, sposta aria in continuazione. Eppure, quando l'aria spostata non ti accarezza la pelle, il ventilatore sembrerà non esistere.
Nel suo moto perpetuo, sulla linea dell'orizzonte, il ventilatore subisce perdite d'equilibrio. Nei suoi cambi di direzione si sbilancia, si accomoda su uno dei piedini e riparte, nuovamente stabile.
Stesso moto, stesso comportamento, ma in un'altra direzione.
Osservando quell'oggetto, maledettamente costante e poco efficace, riuscì a vedere quello che non aveva mai visto.
Capì che ogni volta che "spostava aria", con tutte le sue forze, ma nelle direzioni più disparate, perdeva efficacia in tutte le altre. Capì che doveva azionare il pulsante di bloccaggio, concentrarsi in una sola direzione, spostare anche le montagne, per riuscire a realizzare i suoi progetti.. ed essere finalmente efficace.

domenica 3 giugno 2012

Le Rabot

Siamo ai primi di giugno, il ciliegio rigoglioso nel cortile non ha più frutti ed è ora di riordinare le mie cose. Passa in fretta un anno, come le rondini che all'inizio della primavera sorvolavano la residenza.

Se ripenso alle mie idee, alle aspettative che avevo prima di partire, mi rendo conto di aver fatto una minima parte di quello che avevo in testa. I miei viaggi, le capitali europee da visitare, dimenticate strada facendo. Nonostante una discreta disponibilità economica e il tempo libero, la passione che ho provato per questo rifugio di giovani folli, mi ha invitato a restare.

Qui ognuno cerca il suo equilibrio, andandoci molto vicino.

Il sole che nasce ogni mattina dietro quelle splendide cime, che colora la valle di pennellate d'oro.
Il venticello che rinfresca ogni faticosa salita, all'ultima curva, per premiare il nostro spirito dinamico.
Le feste all'aria aperta, quando attorno al fuoco parliamo tutte le lingue del mondo e ammiriamo tutte le sfumature delle fiamme.
I pranzi in giardino suonando la chitarra, il tramonto dietro Vercor che rinfresca la città.
Il brillare delle luci cittadine, quando la notte ci dividiamo una bottiglia di vino e fantastichiamo sul nostro futuro.
La poesia, le canzoni, le partite di calcio, i video assurdi delle serate di festa, il cuscus marocchino, il cibo cinese, la tortilla, le penne tricolore, le follie di ogni persona, la filosofia delle nostre giornate, il mate, la profondità di ogni riflessione, l'odore d'erba all'aprire la finestra... la solitudine che trovi nella tua stanza e nella tua testa.

Queste cose e tante altre, non ti lasciano partire. Non è una questione di pigrizia, è soprattutto benessere.
E' sentirsi privilegiati di poter vivere qualcosa di semplice, ma anche straordinario.
Tra una settimana, tutto ciò sarà un ricordo, attraverserò per l'ultima volta quel portone in fondo alla strada. Tornerò a casa, dopo un viaggio lungo dieci mesi, ma non sono triste per questo.

Me ne vado da solo, com'ero arrivato, con un'altra prova del fatto che il mondo può essere un posto meraviglioso.

mercoledì 22 febbraio 2012

Eurotrip (prima parte)


Dalla finestra entra un bel sole, vedo le Alpi innevate, sono di nuovo a Grenoble.
Era un sabato mattina quando partii da qui, dodici giorni fa.
Col mio zaino in spalla scendevo lungo la strada che porta alla città, immerso nel freddo polare che avvolgeva l'Europa intera. Infreddolito e imbacuccato pensavo al mio thermos pieno di tè caldo nello zaino. La mia salvezza.

La prima destinazione è stata Ginevra. Avrei voluto visitarla meglio, ma mentre camminavo per le strade della città vecchia, il freddo mi penetrava nelle ossa e la voglia di camminare, con il mio zaino in spalla nel lusso della città, s'affievoliva ad ogni passo. Mi convinsi di dover almeno vedere il simbolo della città. Un enorme getto d'acqua verticale su una sponda dove il lago di Ginevra confluisce col fiume Rodano. Completamente ghiacciato per l'occasione!
Tornando verso la stazione entrai a Starbucks per bere un caffè americano e appuntare qualche riga sul mio diario di viaggio: "Come finire a Starbucks durante una giornata di turismo? fuori ci sono dieci gradi sotto zero".
All'aeroporto, dove ho passato la notte, ho incontrato Ivan. Un amico Colombiano che abita nella mia residenza. Anche lui in partenza per il suo viaggio, in Italia. Abbiamo passato una bella nottata, tra lezioni di italiano, musica e qualche ora di sonno.
La mattina dopo, ognuno per la sua strada. Io Amsterdam, lui Roma.

Arrivato ad Amsterdam ci ho messo un pochino ad orientarmi. L'inglese non è il mio forte.
Dopo aver capito come arrivare alla stazione centrale, a cinque minuti a piedi dall'ostello che avevo prenotato, ho conosciuto due italiani più o meno sperduti come me. Arrivati in città, dopo aver salutato i miei nuovi compagni di viaggio, mi sono incamminato verso l'ostello.
Alle dieci del mattino, facendo confusione con le viuzze, mi sono trovato davanti ad una vetrina rossa, dove una puttana di circa quarant'anni più vecchia di me tentava di sedurmi. Uno spettacolo mostruoso.
Dopo l'incontro ravvicinato con la decadenza, ho trovato il letto che avevo prenotato.
Normalmente non mi piace unirmi ad altri connazionali durante i miei spostamenti, ma questa volta ho fatto un'eccezione. A mali estremi, estremi rimedi.
Dopo una notte al quartiere a luci rosse tra vicoli e Coffeeshop in loro compagnia e un pomeriggio al museo Van Gogh, però, ho preso la mia strada solitaria.

Camminare per Amsterdam mi faceva sentire bene. Sentivo come un senso di leggerezza, ma non era causato dalla notte al Coffeeshop, era diverso, di quelle vie e quei canali ghiacciati mi piaceva tutto.
Le case pittoresche del 1800, mi affascinavano tantissimo. Una attaccata all'altra. Una più alta e l'altra più bassa. Qualcuna sporgeva più delle altre, sembrava dovesse cadere da un momento all'altro. Ed io stavo li ad immaginarmi vestito come nell'epoca della loro costruzione, passeggiando in quegli stessi luoghi. In una sorta di trans, macinavo chilometri in una delle città più affascinanti che io abbia mai visto.

Quando tornai nell'ostello il secondo giorno, trovai un nuovo arrivato, Christoph. Un ragazzo tedesco che aveva vissuto un anno a Buenos Aires, perfetto, comunicando in spagnolo uscimmo per le strade di Amsterdam a cercare un pub dove bere una birra.
L'indomani facemmo un piccolo tour della zona ovest della città, prima di separarci e continuare il nostro viaggio in solitaria.
La sera andai alla stazione ad accogliere i miei amici argentini che arrivavano dal Belgio. Passammo una bella serata nel quartiere più famoso di Amsterdam, tra discorsi visionari e paranoie.

La mattina seguente, zaino in spalla uscii all'alba per andare a prendere l'autobus per Bruxelles. Le strade della città deserte e i colori del sorgere del sole mi lasciarono il ricordo più bello di Amsterdam.
A Bruxelles c'era Léonie ad aspettarmi, sorridente come sempre. Quel sole che risplendeva nelle giornate passate a Grenoble era ancora forte nei suoi occhi. Eccola lì, in piedi davanti ai tabelloni degli arrivi, "The big hard sun".
Dopo un abbraccio e qualche battuta delle nostre, siamo andati a cercare Diana, l'altra viaggiatrice Erasmus.
La visita di Bruxelles risultò un pò dispendiosa. Come per magia ci siamo trovati di fronte ad un pub con un'offerta di 2500 birre provenienti da tutto il mondo. E' stato impossibile resistere a tale fascino. Dopo un paio di birrozze e una mangiata delle tipiche patatine fritte belga, siamo partiti per Genth.
Genth, mi è sembrata davvero bella, come tutte le città che ho visto in Belgio. Bruges, Anversa, Bruxelles, ognuna di loro ha il suo incanto. A modo suo, ognuna, è capace di stupirti.

La parte più interessante del viaggio è stata passare il fine settimana nella casa della famiglia di Léonie, in aperta campagna.
I suoi genitori hanno una fattoria dove allevano delle mucche e coltivano un orto. Sono persone davvero speciali, ospitali, sempre col sorriso sulle labbra e di una semplicità disarmante. Il fratello e la sorella di Léonie, non smettono un attimo di ridere e di prendersi in giro. Proprio come fa lei.
Nel mio diario di viaggio ho scritto: "Gente così, genuina e spiritosa, è ciò che di più bello ti può capitare in un viaggio. Dalla finestra l'orizzonte, mosso dal vento e dalla pioggia, tranquillizza l'atmosfera. Malgrado il clima, queste persone hanno il sole dentro. Sarà la campagna, sarà l'armonia di questa famiglia, ma questo odore di merda sa di fiori a primavera".

La mattina di Lunedì sono ripartito. Contento dell'ospitalità ricevuta e della carica che mi hanno regalato queste persone. Mi sono sentito come a casa, senza preoccupazioni ne pensieri.
Il viaggio di ritorno è stato spezzato da un mini-tour di Parigi. Mi sono limitato a passare qualche ora sotto la Tour Eiffel e ad osservare gli artisti di Montmartre. A Parigi ci sono arrivato la mattina alle 11, con un covoiturage. E' molto utilizzato in Francia. Si tratta di prenotare, attraverso internet, un posto nella macchina di qualcuno che fa il tuo stesso tragitto. E' normalmente più economico dei mezzi pubblici e sicuramente più interessante.
Alle 18:41 il TGV è partito dalla Gare de Lyon per riportarmi a Grenoble, da dove ora sto scrivendo e da dove tra un paio di mesi ripartirò per il prossimo Eurotrip.